De/cantazioni appunti 2003

Sulla povertà e la ricchezza dell’uomo:
Inno all’ingenuità.

I parte:

(Non si intenda leggendo queste righe l’intenzione di rinnegare la ragione, quanto è proprio alla ragione che si devono le idee e le capacità di raggiungere il nuovo.)

Non è il povero colui che non ha in possesso le cose, ma chi è ricco e delle cose ne fa uno strumento di superiorità. Il povero non conosce il possesso e vive tra le nubi, sotto coperte di vento e pareti di sogni. Il ricco non conosce il sogno ma lo insegue alla fine dei suoi incubi con la paura di perdere ciò che stringe tra le mani. Eppure, non è questo il mio intento, e cioè di stabilire le due posizioni materiali, quanto quello di descrivere della ricchezza e la povertà dei sogni.

Al risveglio sembra uguale, il placido sbadiglio dei due soggetti che viaggiano nello stesso tempo inseguendo così distanti i venti che fanno la differenza.

Non è facile riconoscere colui che porta in sé e con sé la sua libertà, avvolta al collo come il dono più prezioso della vita. La povertà dell’uomo è la sua incapacità di riconoscere la sua leggerezza, il suo volo tra le emozioni più pure, in assenza di contaminazioni incontrollate. Ma non è sua la colpa se nel cammino gli sono state negate le radici, e al tempo stesso le ali, di un tempo in cui amava viaggiare di fantasia e giocare con la propria mente e corpo. La coscienza di un uomo lo fortifica illusoriamente, fallace immagine di una maturità che lo blocca e lo rinnega.
Il vero stato di grazia sta nel tenere salda la propria ingenuità, nel quotidiano. La cosa più dura da recuperare nella vita è l’ingenuità perduta. E qui vi dico, in tempo di recupero che non è comune a tutti vivere nel sogno ripercorrendo il proprio passato. Ci si rende conto per la schiavitù del corpo che è innaturale il sogno, la crescita è evoluzione del corpo e involuzione del sogno. Quanto più ci si riempie di realtà più ci si svuota di sogni. Il sogno è un dato mentale, alimento e carburante continuo alla vita. Il sogno è l’ingenuità del corpo che si immola nella cavità del reale. L’uomo senza sogni è l’essere più povero in assoluto, perché alla realtà si lega totalmente e non ha nulla in più per rivestirla/colmarla.
La realtà diventa realtà uguale per tutti. Ma non per l’uomo con i propri sogni stretti tra le mani, lui no, quest’uomo muta l’esistenza nell’irripetibile combinazione della propria fantasia, euforia che lo avvolge e coinvolge il suo astante. Lo purifica e lo innalza perché padrone della realtà, perché piccolo creatore di un nuovo cosmo nel cosmo. L’uomo con la propria ingenuità stretta tra i denti innalza gli eventi e guarda con l’occhio sempre vergine di chi non ha paura e al mondo si dona costantemente.

La paura parte dalla conoscenza del dolore, si afferma troppo spesso il contrario e cioè che la paura sia frutto dell’incoscienza. Fare dei propri sensi uno strumento inviolato è garantire a se stessi la propria ingenuità fino alla fine di un’emozione. Questa è la persona più ricca al mondo. Questo, è l’uomo capace di ricevere la vera risposta dal vento creatore che non sfugge al suo corpo ma lo avvolge e lo innalza con il suo alito di vita.

Quanto dura l’ingenuità di un uomo e quante sono le ali che gli sono strappate di botto senza preavviso in un unico respiro? Ho sempre guardato la natura e il suo silenzio con cui seduce chiunque ad esso sia legata. Si, perché la seduzione massima è il silenzio e la natura insegna ad essere con il suo silenzio. Noi, legati al respiro degli altri inevitabilmente, respiro fatto parola e da inutili sofismi, mentre il silenzio della natura ci brucia il passo e ci distanzia dalla natura prima semplicemente “essendo”.

Non ci sono mai state abbastanza parole per descrivere il fuoco magico che dentro si muove, fuoco di vita che a tutto e in tutto si riversa. Così è necessario “sentire” e non “ascoltare” sentire con il cuore per quanto ancora ne resti oggi dentro uomini fatti di impulsi portati a livelli di domanda e risposta. L’elaborazione dell’emozione non ha il tempo di svilupparsi e qui si rimane al punto in cui la risposta diventa incudine e martello. Sul piano della comunicazione verbale ci si muove come su di un banco del fabbro, a schiacciare parole sotto il fuoco delle necessità individuali che così le immolano.
Le azioni sono la vera comunicazione, il fare e non il dire, illusione umana di concettualizzare l’istinto. Si, come gli animali, che con uno sguardo e un segnale rimandano alla propria verità.

g.r.

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